17 febbraio
1600:
in Campo de' Fiori, a Roma, un eretico viene arso vivo. Distoglie
con disprezzo il volto dal crocifisso che i confortatori dell'Arciconfratemita
di san Giovanni Decollato gli porgono. Quell'eretico è
il filosofo Giordano Bruno. Il cammino che lo conduce sul
rogo ha avuto inizio a Nola, dove è nato nel 1548.
Nel 1576 è costretto a iniziare la sua lunga e tormentata
peregrinatio in Italia e in Europa: Venezia, Ginevra (dove
aderisce per breve tempo al calvinismo), Tolosa, Parigi, Oxford,
Marburgo, Wittenberg, Helmstedt, Praga, e infine, dopo la
tragica decisione di tornare in Italia, nuovamente Venezia
e Roma, dove viene bruciato con la lingua "in giova per
le brutissime parole che diceva".
Il tradimento e l'indifferenza di Dio nei
confronti dell'uomo, la materia come principio unico ed
eterno, la metasomatosi attraverso cui l'anima universale
s'incarna con vicenda perenne in forme diverse: sono alcune
delle verità che Bruno ritiene di aver scoperto,
e che esige di poter proclamare, indifferente alla loro
consonanza con i dogmi di fede. Non da anticristiano, bensì
da "post-cristiano", egli non esita a dichiarare
false le dottrine e superata l'era del cristianesimo, in
nome dell'avvento di una pax universalis ostacolata proprio
dall'intransigenza della Chiesa romana.
A
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tutta la storia della sua vita
Ricorrendo agli scritti dello stesso Bruno,
Michele Ciliberto rivela la stretta connessione fra filosofia
e biografia, che reciprocamente si illuminano nel fuoco
di una drammatica vicenda esistenziale.
... io sorgo impavido a solcare con
l'ali
l'immensità dello spazio,
se che il pregiudizio mi faccia arestare contro le sfere
celesti,
la cui esistenza fù eroneamemnte dedotta
da un falso principio,
affinchè fossimo come rinchiusi in un fittizio carcere
ed il tutto fosse
costretto entro adamantine muraglie.
Ma per me migliore è la mente
che ha disperso ovunque quelle nubi