Biografia
Mohandas Karamchard Gandhi,
detto il Mahatma (soprannome datogli dal poeta indiano R.Tagore
che in sanscrito significa “Grande Anima”),
è il fondatore della nonviolenza e il padre dell’indipendenza
indiana.
Nasce a Portbandar in India il 2 ottobre 1869. Dopo aver
studiato nelle università di Ahmrdabad e Londra ed
essersi laureato in giurisprudenza, esercita brevemente
l’avvocatura a Bombay.
Nel 1893 si reca in Sud Africa con l’incarico di consulente
legale per una ditta indiana e vi rimane per 21 anni. Qui
si scontra con una realtà terribile, in cui migliaia
di immigrati indiani sono vittime della segregazione razziale.
L’indignazione per le discriminazioni razziali subite
dai suoi connazionali (e da lui stesso) da parte delle autorità
britanniche, lo spingono alla lotta politica. Il Mahatma
si batte per il riconoscimento dei diritti dei suoi compatrioti
e dal 1906 lancia, a livello di massa, il suo metodo di
lotta basato sulla resistenza nonviolenta- “satyagraha”:
una forma di non-collaborazione radicale con il governo
britannico, concepita come mezzo di pressione di massa.
Gandhi giunge all’uguaglianza sociale e politica tramite
le ribellioni pacifiche e le marce. Alla fine, infatti,
il governo sudafricano attua importanti riforme a favore
dei lavoratori indiani (eliminazione di parte delle vecchie
leggi discriminatorie, riconoscimento ai nuovi immigrati
della parità dei diritti e validità dei matrimoni
religiosi).

Nel 1915 Gandhi torna in India,
dove circolano già da tempo fermenti di ribellione
contro l’arroganza del dominio britannico (in particolare
per la nuova legislazione agraria, che prevedeva il sequestro
delle terre ai contadini in caso di scarso o mancato raccolto,
e per la crisi dell’artigianato). Egli diventa il
leader del Partito del Congresso, partito che si batte per
la liberazione dal colonialismo britannico.
- 1919: prima grande campagna satyagraha di disobbedienza
civile, che prevede il boicottaggio delle merci inglesi
e il non-pagamento delle imposte. Il Mahatma subisce un
processo ed è arrestato.
- 1921: seconda grande campagna satyagraha di disobbedienza
civile per rivendicare il diritto all’indipendenza.
Incarcerato, rilasciato, Gandhi partecipa alla Conferenza
di Londra sul problema indiano, chiedendo l’indipendenza
del suo paese.
- 1930: terza campagna di resistenza. La marcia del sale:
disobbedienza contro la tassa sul sale (la più iniqua
perché colpiva soprattutto le classi povere). La
campagna si allarga con il boicottaggio dei tessuti provenienti
dall’estero. Gli inglesi arrestano Gandhi, sua moglie
e altre 50.000 persone.
Spesso incarcerato negli anni successivi, la “Grande
Anima” risponde agli arresti con lunghissimi scioperi
della fame (importante è quello che egli intraprende
per richiamare l’attenzione sul problema della condizione
degli intoccabili, la casta più bassa della società
indiana).

All’inizio della Seconda
Guerra Mondiale, Gandhi decide di non sostenere l’Inghilterra
se questa non garantisce all’India l’indipendenza.
Il governo britannico reagisce con l’arresto di oltre
60.000 oppositori e dello stesso Mahatma, che è rilasciato
dopo due anni.
Il 15 agosto 1947 l’India conquista l’indipendenza.
Gandhi, però, vive questo momento con dolore, pregando
e digiunando. Il subcontinente indiano è diviso in
due stati, India e Pakistan, la cui creazione sancisce la
separazione fra indù e musulmani e culmina in una
violenta guerra civile che costa, alla fine del 1947, quasi
un milione di morti e sei milioni di profughi.
L’atteggiamento moderato di Gandhi sul problema della
divisione del paese suscita l’odio di un fanatico
indù che lo uccide il 30 gennaio 1948, durante un
incontro di preghiera.
Il pensiero di Gandhi si basa
su tre punti fondamentali:
Autodeterminazione dei popoli: Gandhi riteneva
fondamentale il fatto che gli indiani potessero decidere
come governare il loro paese, perché la miseria nella
quale si trovava dipendeva dallo sfruttamento delle risorse
da parte dei colonizzatori britannici.

Nonviolenza: è necessario precisare che tale precetto
non si ferma ad una posizione negativa (non essere causa
di male agli altri) ma possiede in sé la carica positiva
della benevolenza universale e diventa l’”amore
puro” comandato dai sacri testi dell’Induismo,
dai Vangeli e dal Corano. La nonviolenza è quindi
un imperativo religioso prima che un principio dell’azione
politico-sociale.
Il Mahatma rifiuta la violenza come strategia di lotta in
quanto la violenza suscita solamente altra violenza. Di
fronte ai violenti e agli oppressori, però, non è
passivo, anzi. Egli propone una strategia che consiste nella
resistenza passiva, il non reagire, in altre parole, alle
provocazioni dei violenti, e nella disobbedienza civile,
vale a dire il rifiuto di sottoporsi a leggi ingiuste.
“La mia non-cooperazione non nuoce a nessuno; è
non-cooperazione con il male,… portato a sistema,
non con chi fa il male” (Gandhi, Gandhi Parla di Stesso,
p.128).
Tolleranza religiosa: ”… il mio più intimo
desiderio” dice Ghandhi “… è di
realizzare la fratellanza … tra tutti gli uomini,
indù, musulmani, cristiani, parsi e ebrei”
(M.K.Gandhi, Gandhi Parla di Se Stesso, p.83). Gandhi sognava
la convivenza pacifica e rispettosa dei tantissimi gruppi
etnici e delle diverse professioni religiose presenti in
India. Queste erano delle ricchezze che dovevano convivere
e non dividere politicamente la nazione. Purtroppo, gli
eventi non andarono come sperava Gandhi.
Il messaggio che il Mahatma ci lascia è molto attuale
e la storia contemporanea, purtroppo, continua ad essere
macchiata dalla guerra e dalla violenza.

Gandhi, “piccolo grande uomo”, riesce con le
sue sole forze, a sconfiggere il potente Impero britannico
e a realizzare il suo grande sogno dell’indipendenza
per il suo paese. Come? Con la forza sbalorditiva della
nonviolenza, del boicottaggio pacifico, della resistenza
passiva e della ricerca della Verità (Dio).
Come possiamo rendere attuale Gandhi? Come possiamo essere
anche noi portatori di pace?
Gandhi dimostra che la forza di un singolo uomo può
diventare la forza di un popolo intero. Non dobbiamo quindi
disperare se ci sembra che poteri superiori vogliano decidere
per noi e armarci la mano. Gandhi stesso, con le sue parole,
ci incoraggia a “cercare … la propria strada
e … seguirla senza esitazioni” e a “non
avere paura”. Rivolgendosi a ciascuno di noi aggiunge:
“…affidati alla piccola voce interiore che abita
il tuo cuore e che ti esorta ad abbandonare …, tutto,
per dare la tua testimonianza di ciò per cui hai
vissuto e di ciò per cui sei pronto a morire”
(The Bombay Chronicle, 9 agosto 1942).
Il precetto della seguente strofa didattica di Gajarati
– rispondere al male con il bene – fu il principio
guida di Gandhi:
“Per una scodella d’acqua,
rendi un pasto abbondante;
per un saluto gentile,
prostrati a terra con zelo;
per un semplice soldo,
ripaga con oro;
se ti salvano la vita,
non risparmiare la tua.
Così parole e azione del saggio riverisci;
per ogni piccolo servizio,
dà un compenso dieci volte maggiore:
Chi è davvero nobile,
conosce tutti come uno solo
e rende con gioia bene per male”.
(M.K.Gandhi, L’Arte di Vivere, p.90).
“La nonviolenza è il primo articolo della mia
fede e l’ultimo del mio credo” (M.K.Gandhi,
Gandhi parla di se stesso, EMI, Bologna, 1998, p.63).
“Sono un incorreggibile ottimista. Il mio ottimismo
si fonda sulla mia convinzione che ogni individuo ha infinite
possibilità di sviluppare la nonviolenza. Più
l’individuo la sviluppa, più essa si diffonderà
come un contagio che a poco a poco contaminerà tutto
il mondo”. (Id., p.142)
“…non c’è liberazione per alcuno
su questa terra, né per tutta la gente di questa
terra, se non attraverso la verità e la nonviolenza,
in ogni cammino della vita, senza eccezione”. (M.K.Gandhi,
La forza della Verità, vol.1, Sonda, Torino, 1991,
p.78)
“La mia vita è il mio messaggio” (Id.,
p.248)
“La vera moralità non consiste nel seguire
il sentiero battuto, ma nel cercare ciascuno la propria
strada e nel seguirla senza esitazioni”. (M.K.Gandhi,
L’Arte di Vivere, EMI, Bologna, 1992, p.190)
“…l’amore non conosce mai la paura”.
(Id., p.184)
“Una cosa è certa. Se la folle corsa agli armamenti
continua, dovrà necessariamente concludersi in un
massacro quale non si è mai visto nella storia. Se
ci sarà un vincitore, la vittoria vera sarà
una morte vivente per la nazione che riuscirà vittoriosa.
Non c’è scampo allora alla rovina incombente
se non attraverso la coraggiosa e incondizionata accettazione
del metodo non violento con tutte le sue mirabili implicazioni.
Se non vi fosse cupidigia, non vi sarebbe motivo di armamenti.
Il principio della non violenza richiede la completa astensione
da qualsiasi forma di sfruttamento. Non appena scomparirà
lo spirito di sfruttamento, gli armamenti saranno sentiti
come un effettivo insopportabile peso. Non si può
giungere a un vero disarmo se le nazioni del mondo non cessano
di sfruttarsi a vicenda”. (M.K.Gandhi, Antiche come
le Montagne, ed. di Comunità, Milano, 1981).
( i testi sopra riportati sono tratti dal sito www.giovaniemissione.it)
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