GINO STRADA




Gino Strada - Fondatore di Emergency

Gino Strada è nato a Milano dove si è laureato in medicina, ramo chirurgia d’urgenza. E’ diventato chirurgo di guerra per scelta: dapprima lavorando con la Croce Rossa internazionale e poi creando un’associazione a favore delle vittime delle guerre civili.

Emergency, sottotitolo Life Support of Civilian War Victims, nasce nel 1994 con sede in via Bautta 12 a Milano.

L’obiettivo dell’organizzazione – come suggerisce il nome - è fornire assistenza alle vittime civili dei conflitti, menomate da ordigni bellici come le mine antiuomo, ma anche dalla malnutrizione e da mancanza di cure mediche, addestrare personale locale a far fronte alle necessità mediche, chirurgiche e riabilitative più urgenti e diffondere una cultura di pace.

E’ un’ organizzazione internazionale privata, aperta, senza discriminazione politica, ideologica o religiosa, a tutti coloro che ne condividono i principi e gli obiettivi e ne sostengono le attività umanitarie. Dalla sua nascita Emergency ha creato sette ospedali e venticinque punti di pronto soccorso in Ruanda, Kurdistan iracheno, Cambogia e Afghanistan.

Gino Strada è stato tra l’altro iscritto nella lista dei possibili candidati al Nobel per la pace nel 2001.



Gino strada - Sulla fame nel mondo

 

7 milioni di bambini muoiono ogni anno
per mancanza di cibo

 
Un pensiero sulla guerra
 
 
 
Bibliografia - Gino strada
 

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Pappagalli Verdi - Libro su IBS
Le cronache di un chirurgo di guerra, fondatore di Emergency, l'associazione umanitaria italiana per la cura e la riabilitazione delle vittime di guerra e delle mine antiuomo. In questo libro, Strada mette a nudo le immagini più vivide, talvolta i ricordi più strazianti, le amarezze continue della sua esperienza di medico militante, stretto continuamente tra le politiche ufficiali dell'ONU e dei padroni della guerra e le pratiche del volontariato internazionale. Prefazione di Moni Ovadia.

RECENSIONE AL LIBRO DI GINO STRADA, Pappagalli verdi
Notiziario Giugno 1999 - Amnesty International, Sezione Italiana

Intitolando in questo modo la recensione, non abbiamo voluto giocare col cognome di Gino Strada. Piuttosto, abbiamo voluto mettere in evidenza le condizioni in cui l’autore e i suoi collaboratori si siano spesso trovati nel corso del loro impegno: installare ospedali da campo in meno di una giornata, organizzare soccorsi istantanei approfittando di una fragile tregua, operare a lume di candela nel mezzo di combattimenti, provare a ricucire corpi e anime, ad amputare e rieducare, a convincere un bambino o una bambina a trascorrere il resto della propria vita "adattandosi alla nuova forma del suo corpo, a usare meglio quel che è rimasto". Racconta Strada della sua sorpresa iniziale nel constatare l’assenza di reazione da parte delle vittime e di aver poi compreso come sia "la quotidianità della tragedia che rende superfluo ai feriti dalle mine piangere, lamentarsi. E’ il fatto di aver sempre vissuto in mezzo al terrore e al dolore fisico, di averlo visto negli occhi dei nonni e poi dei padri e delle madri, dei fratelli e delle sorelle maggiori".

La "quotidianità della tragedia" é questa: ogni venti minuti nel mondo una mina esplode e i 50 o 100 grammi di tritolo che contiene vengono sparati a incredibile velocità, ferendo, mutilando, uccidendo esseri inermi che stanno camminando in un prato, portando il gregge al pascolo, giocando nel cortile di casa, zappando la terra. Due bambini raccolgono un pezzo di ferro e, contenti, vanno al mercato dove forse potranno barattarlo con un tozzo di pane: passando da una mano all’altro, quel pezzo di ferro esplode.

Diceva Saddam Hussein nell’ottobre 1991, all’indomani del ritiro dalla regione kurda dell’Iraq: "Noi ce ne siamo andati, ma il nostro esercito è rimasto lì." E alludeva alle mine antipersona (dieci milioni, tre per ogni abitante nel Kurdistan iracheno), alla sua armata invisibile fatta di italianissime Valmara 69 e VS-50. Mine la cui produzione e il cui commercio sono stati finalmente proibiti dalla legge 374 del 22 ottobre 1997, approvata anche grazie a una campagna di pressione di Emergency, l’organizzazione umanitaria fondata da Strada a Milano nel 1994 e alla quale sono devoluti i diritti d’autore di questo libro.

Accanto alle mine italiane, ecco il modello PFM-1 di fabbricazione russa, i "pappagalli verdi". In Afghanistan i sovietici ne lanciavano a migliaia dagli elicotteri; grazie alle "ali" di cui erano dotate, queste mine anziché cadere a grappolo in un unico punto si disperdevano come volantini su un’ampia superficie. I militari sovietici affermavano che quelle mine erano fatte in quel modo per sole ragioni tecniche e non perché dovessero assomigliare a un giocattolo. Cioè, precisavano indignati i progettisti, non erano fatte apposta per attirare i bambini. Però li attiravano. E i bambini se le portavano a casa, se le scambiano come fossero figurine, finché sulle "ali" veniva esercitata un po’ di pressione e si verificava l’esplosione. Strategia di guerra: più bambini muoiono o rimangono ciechi o monchi o sfigurati, più la popolazione civile terrorizzata cesserà ogni resistenza. A partire dalla metà del secolo, il 90% delle vittime dei conflitti erano civili estranei ai combattimenti; in Afghanistan il 34% di queste erano bambini.

Cosa è che ha portato Strada a essere l’opposto di un barone universitario o di un chirurgo dai guadagni miliardari? Certo, la passione per il lavoro e la fortuna di essere pagato per fare ciò che piace (in contesti, peraltro, allucinanti). Ma anche e soprattutto quelle "idee di solidarietà, di consapevolezza di essere in qualche modo in debito verso i più sventurati della terra". Scrive Strada: "Molti di loro non sopravvivono. Non riescono a sopportare il lungo viaggio sulle montagne, a dorso di mulo, qualche volta stesi su un carretto. Arrivano sporchi e sfiniti al nostro ospedale, con il turbante e la barba pieni di terra, i vestiti stracciati e incrostati di sangue. E’ giusto che ci sia qualcuno ad aspettarli, è umano".

Se dovessimo scegliere alcuni dei momenti essenziali di questo diario, prenderemmo quelli in cui Gino Strada sfoga la sua indignazione e il suo disprezzo nei confronti di coloro che dopo aver subito lutti e tormenti senza fine ad opera del potere centrale o di una potenza occupante, non appena "liberi" hanno iniziato a combattere tra di loro. Strada si è trovato nel Kurdistan iracheno e nella capitale afghana, Kabul, in momenti del genere. E, resistendo alla tentazione di maledire tutti quanti e tornarsene a Milano, ha cercato di ritagliare almeno per il proprio ospedale una zona neutrale, in cui poter soccorrere i feriti di una parte e dell’altra.

E a proposito di ospedali, concludiamo ricordando che Strada ha lavorato anche al Koshevo di Sarajevo, dove il dottor Karadzic era un l’insigne psichiatra. Un giorno l’insigne psichiatra, i tecnici, gli infermieri e i portantini della sua etnia non si presentano più in ospedale. Una settimana dopo saranno tutti sulle colline intorno a Sarajevo, a bombardare il loro reparto e i loro stessi colleghi.

 


Buskashì - Viaggio dentro la guerra
- Gino strada - Libro su IBS
Gino Strada, chirurgo di guerra e fondatore di Emergency, l'associazione umanitaria italiana per la cura e la riabilitazione delle vittime di guerra e delle mine antiuomo, racconta in questo libro la storia del viaggio in Afghanistan iniziato il 9 settembre 2001, due giorni prima dell'attentato terroristico di New York. L'autore firma questo diario di viaggio che è al tempo stesso una testimonianza della guerra che ha portato alla disfatta dei talebani, la conquista della capitale da parte dell'Alleanza del nord e la "liberazione" di Kabul.
 
 
 
  
  
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