Il sentiero della Pace
© Ass. Santacittarama, 2002. Tutti i diritti sono riservati.
SOLTANTO PER DISTRIBUZIONE GRATUITA.
Traduzione di Silvana Ziviani.
Brani estratti da un discorso del Venerabile
Ajahn Chah indirizzato ai monaci e ai novizi.
POSSIAMO DIRE CHE IL
RETTO SENTIERO DELLA PACE, il sentiero che il Buddha ha
scoperto e ci ha indicato, che conduce alla pace della mente,
alla purezza e alla realizzazione delle qualità di
un samana, è formato da sila (freno morale), samadhi
(concentrazione) e pañña (saggezza). E' una
strada valida per tutti. Infatti i discepoli del Buddha
che divennero illuminati, all'inizio erano delle persone
ordinarie, come tutti noi. Anche il Buddha all'inizio era
uno come noi. Praticarono e dall'opacità fecero emergere
la luce, dalla rozzezza la bellezza e dalle cose vane e
inutili grandi benefici per tutti.
Sila, samadhi e pañña
sono i nomi dati a tre diversi aspetti della pratica. Praticando
sila, samadhi e pañña, in effetti, praticate
con voi stessi. La giusta sila esiste qui in questo momento,
il giusto samadhi è qui. Perché? Perché
il vostro corpo è qui! La pratica di sila riguarda
il corpo intero. Quindi, siccome il vostro corpo è
qui, le mani, le gambe sono qui, è qui che praticate
sila.
Un conto è tenere
a mente tutta la lista dei comportamenti sbagliati da evitare,
così come elencata nei libri, un altro conto è
capire che le potenzialità che questi atteggiamenti
hanno di crescere, risiede in voi. Praticare la disciplina
morale vuol dire stare attenti ad evitare certe azioni,
come uccidere, rubare ed avere una condotta sessuale scorretta.
Il Buddha ci ha insegnato a prenderci cura di tutte le nostre
azioni, anche delle più semplici.
Forse nel passato avete
ucciso degli animali o degli insetti schiacciandoli o non
siete stati troppo attenti nel parlare: il parlare sbagliato
si ha quando si mente o si esagera la verità, mentre
parlare in modo grossolano vuol dire essere aggressivi e
offensivi verso gli altri, dicendo in continuazione ‘imbroglione’,
‘idiota’ e così via. Il parlare frivolo
si ha quando i discorsi sono solo chiacchiere inutili, senza
senso, sconclusionati, che vanno avanti senza voler dire
niente. Ci siamo lasciati andare tutti qualche volta a questo
genere di discorsi a ruota libera, quindi praticare sila
significa sorvegliare se stessi, sorvegliare le proprie
azioni e le proprie parole.
Ma chi sorveglia? Chi
si prende la responsabilità delle vostre azioni?
Quando vi appropriate di qualcosa che non vi appartiene,
chi è consapevole di quell'azione? E' la mano? Questo
è il punto su cui dovete sviluppare la consapevolezza.
Chi sa che state per mentire, giurare o dire qualcosa di
frivolo? Consapevole di ciò che dice è la
bocca, o è colui che conosce il significato delle
parole? Contemplate: 'colui che conosce', chiunque sia,
deve prendersi la responsabilità della vostra sila.
Portate questa consapevolezza a sorvegliare le vostre azioni
e le parole. Per praticare sila, usate quella parte della
mente che dirige le vostre azioni e che vi porta ad agire
bene o male, a cacciare il furfante e a trasformarlo in
uno sceriffo. Tenete ferma la mente capricciosa e portatela
a servire e a prendersi la responsabilità di tutte
le vostre azioni e parole. Osservate ciò e contemplatelo.
Il Buddha ci ha esortato ad essere consapevoli delle nostre
azioni. Chi è consapevole? Il corpo non ne sa niente;
sa solo stare in piedi, camminare e cose del genere. Per
poter fare qualsiasi cosa deve aspettare che qualcuno glielo
ordini. La stessa cose vale per le mani, per la bocca.
La pratica comporta che
si instauri sati - cioè la consapevolezza - in ‘colui
che conosce’. ‘Colui che conosce’ è
quell’intenzione della mente che prima ci portava
ad uccidere esseri viventi, a rubare le cose altrui e a
indulgere a una sessualità scorretta, a mentire,
a calunniare, a parlare in modo sciocco e frivolo, a comportarci
nei modi più sfrenati. E’ ‘colui che
conosce’ che ci ha spinto a parlare; esso esiste nella
mente. Focalizzate la consapevolezza (sati) - questa costante
riflessione consapevole - su ‘colui che conosce’.
Lasciate che la conoscenza si prenda cura della vostra pratica.
Usate sati, la consapevolezza,
per mantenere la mente riflessiva, concentrata nel momento
presente, ottenendo così la calma mentale. Fate che
la mente badi a se stessa, e che lo faccia bene.
Mantenere sila - o in
altre parole, prendersi cura delle azioni e delle parole
- non è poi una cosa così difficile, se la
mente sa badare a se stessa. Siate sempre consapevoli, ogni
momento e in ogni postura: sdraiati, in piedi, camminando
e seduti. Prima di compiere qualsiasi azione, prima di parlare
o di impegnarvi in una conversazione, stabilite la consapevolezza,
sati; dovete essere raccolti, prima di fare qualsiasi cosa.
Non importa quello che direte, l’importante è
raccogliersi nella mente. Esercitatevi fino a diventare
molto abili. Praticate, in modo da essere sempre al corrente
di ciò che capita nella mente; praticate fino a quando
la consapevolezza diventi così naturale da essere
presente ancora prima di agire o di parlare. E’ questo
il modo per stabilire la consapevolezza nel cuore. E’
con ‘colui che conosce’ che sorvegliate voi
stessi, perché tutte le azioni vengono da lui. E'
qui che hanno origine le intenzioni che produrranno l'azione
ed è per questo che la pratica non avrà successo
se fate svolgere questo compito a qualcun altro.
Le vostre parole e le
vostre azioni, sempre tenute a bada, diventeranno aggraziate
e piacevoli sia all’occhio che all’orecchio,
mentre voi stessi, sarete perfettamente a vostro agio all’interno
di questa disciplina. Se praticate la consapevolezza e il
controllo fino a renderli atteggiamenti naturali, la mente
diventerà ferma e risoluta nella pratica di sila.
Farà costantemente attenzione alla pratica, riuscendo
così a concentrarsi completamente. In altre parole,
la pratica basata sul controllo e la disciplina, in cui
vi prendete costantemente cura delle azioni e delle parole,
in cui siete completamente responsabili del comportamento
esteriore che avete, si chiama sila, mentre samadhi è
caratterizzato dalla saldezza della consapevolezza, a sua
volta derivato dalla ferma concentrazione nella pratica
di sila. Queste sono le caratteristiche di samadhi, come
fattore esterno della pratica. Ma vi è un lato più
profondo e interiore.
Una volta che la mente
sia concentrata nella pratica e che sila e samadhi si siano
stabilizzati, sarete in grado di investigare e riflettere
su ciò che è salutare e ciò che non
lo è, chiedendo a voi stessi "questo è
giusto? O non è giusto?", man mano che sperimentate
i vari contenuti mentali. Quando la mente entra in contatto
con cose visive, con suoni, odori, gusti, con sensazioni
tattili o con idee, ‘colui che conosce’ apparirà
e stabilirà la consapevolezza del piacere e dispiacere,
della felicità e della sofferenza, e di tutti gli
oggetti mentali che si vanno sperimentando. Riuscirete finalmente
a ‘vedere’ chiaramente e osserverete un’infinità
di cose diverse.
Se siete consapevoli,
vedrete i vari oggetti che passano nella mente e la reazione
che accompagna l’esperienza di essi. ‘Colui
che conosce’ li prenderà automaticamente come
oggetti di contemplazione. Quando la mente è vigile
e la consapevolezza ferma e stabile, noterete facilmente
le reazioni che si manifestano per mezzo del corpo, della
parola o della mente, man mano che si sperimentano questi
oggetti mentali. Tale aspetto della mente che identifica
e seleziona il buono dal cattivo, il giusto dallo sbagliato,
in mezzo agli oggetti mentali che rientrano nel campo della
consapevolezza, è pañña, una pañña
allo stadio iniziale, che maturerà con l’avanzare
della pratica. Tutti questi vari aspetti della pratica sorgono
dall’interno della mente. Il Buddha si riferì
a queste caratteristiche chiamandole sila, samadhi e pañña.
Continuando la pratica,
vedrete sorgere nella mente altri attaccamenti e illusioni.
Questo significa che ora state attaccandovi a ciò
che è buono e sano. Diventate timorosi di ogni caduta
o errore della mente, temendo che il samadhi ne risenta.
Nello stesso tempo cominciate ad essere diligenti nella
pratica, ad amarla e a coltivarla, lavorandovi con grande
energia.
Continuate a praticare
così il più a lungo possibile, fino a quando
forse raggiungerete il punto in cui non farete altro che
giudicare e trovare errori in chiunque incontrate, ovunque
andiate. Reagite continuamente con attrazione o avversione
al mondo che vi circonda, diventando sempre più incerti
sulla correttezza di ciò che fate. E’ come
se foste ossessionati dalla pratica. Ma non preoccupatevene;
a questo punto è meglio praticare troppo che troppo
poco. Praticate molto e dedicatevi a sorvegliare il corpo,
la parola e la mente. Di questo esercizio non ne farete
mai abbastanza. Tenetevi ancorati agli oggetti mentali rappresentati
dalla consapevolezza e dal controllo sul corpo, sulla parola
e sulla mente, e dalla discriminazione tra giusto e sbagliato.
In questo modo svilupperete sempre più la concentrazione
e rimanendo costantemente e fermamente ancorati a questo
modo di praticare, la mente diventerà essa stessa
sila, samadhi e pañña, le caratteristiche
della pratica come descritte negli insegnamenti tradizionali.
Man mano che continuate
a sviluppare la pratica, queste differenti caratteristiche
e qualità, si perfezioneranno nella mente. Tuttavia
la pratica di sila, samadhi e pañña, a questo
livello non è sufficiente per produrre i fattori
di jhana (assorbimento meditativo) - la pratica è
ancora troppo grossolana. Eppure la mente è abbastanza
raffinata (sempre relativamente alla grossolanità
di base!). E tale appare a una normale persona non illuminata,
che non abbia curato troppo la propria mente e che non abbia
praticato la meditazione e la consapevolezza.
A questo livello si può
sentire un certo senso di soddisfazione per riuscire a praticare
al massimo delle proprie possibilità e lo vedrete
da soli. E’ qualcosa che solo il praticante può
sperimentare all’interno della propria mente. E se
questo avviene, potete ritenervi già sulla giusta
via. State camminando solo all'inizio del sentiero - ai
livelli più elementari - ma, per certi versi, questi
sono gli stadi più difficili. State praticando sila,
samadhi e pañña e dovete continuare a praticarli
sempre tutti e tre, poiché se ne manca anche solo
uno, la pratica non si svilupperà in modo corretto.
Più cresce sila, più solida e concentrata
diviene la mente. Più la mente è stabile più
consistente diventa pañña, e così via;
ogni parte della pratica sostiene e si collega all’altra.
Man mano che approfondite
e raffinate la pratica, sila, samadhi e pañña
matureranno insieme sgorgando dalla stessa fonte, come infatti
si sono raffinate sbozzandosi dallo stesso materiale grezzo.
In altre parole, il Sentiero ha inizi grossolani, ma raffinando
ed esercitando la mente con la meditazione e la riflessione,
tutto diventa via via più raffinato.
Quando la mente è
più raffinata, la pratica della consapevolezza si
focalizza meglio, poiché è concentrata su
un’area più ristretta. Anzi, la pratica diventa
molto più facile, quando la mente si concentra sempre
di più su se stessa. Ormai non fate più grossi
sbagli, ormai, quando la mente è presa in qualche
problema, quando sorgono dubbi se è giusto o no agire
o dire certe cose, semplicemente fermate la proliferazione
mentale e, intensificando gli sforzi nella pratica, continuate
a volgere l’attenzione sempre più in profondità
in voi stessi. Così la pratica del samadhi diverrà
vieppiù ferma e concentrata, mentre la pratica di
pañña si rafforza, permettendo di vedere le
cose più chiaramente e più naturalmente.
Il risultato è
che potrete vedere la mente e i suoi oggetti nitidamente,
senza dover fare distinzione fra mente, corpo e parola.
Continuando a volgere l’attenzione all’interno
di sé e continuando a riflettere sul Dhamma, la facoltà
della saggezza gradualmente maturerà fino al punto
che potrete contemplare la mente e gli oggetti mentali soltanto,
ciò significa che state cominciando a sperimentare
il corpo come immateriale. Quando l’intuizione è
così sviluppata, non andrete più a tentoni,
incerti su come interpretare il corpo e il suo modo di essere.
La mente sperimenterà le caratteristiche fisiche
del corpo come oggetti senza forma con cui essa entra in
contatto. Infine, contemplerete solo la mente e gli oggetti
mentali, cioè quegli oggetti che arrivano a livello
di coscienza.
Esaminando ora la vera
natura della mente, osserverete che, nel suo stato naturale,
non ha preoccupazioni o ambizioni che la sommergano. E’
come una bandiera che sia stata legata all’estremità
di un’asta; se niente la muove rimarrà così,
tranquilla. E se si muove significa che c'è del vento,
una forza esterna che la fa agitare. Allo stato naturale,
la mente fa lo stesso - in essa non vi è né
amore né odio, né disapprovazione. Essa è
indipendente, in uno stato di purezza che è completamente
chiaro, raggiante, non offuscato. Nel suo stato puro la
mente è pacifica, senza felicità o sofferenza,
- in effetti non sperimenta nessun vedana (sensazione).
E’ questo il vero stato della mente.
Lo scopo della pratica,
quindi, è guardarsi internamente, cercando e investigando
fino a quando troverete la mente originale. La mente originale
è detta anche la mente pura. La mente pura è
la mente senza attaccamenti. E' in uno stato di perenne
conoscenza e attenzione, completamente consapevole di ciò
che sta sperimentando. Quando la mente è così
non vi sono oggetti mentali piacevoli o spiacevoli che la
possano turbare, non li insegue. La mente non ‘diventa’
nulla. In altre parole, nulla può scuoterla. La mente
conosce se stessa come purezza. Si è evoluta verso
una vera, completa indipendenza; ha raggiunto il suo stato
originale.
E come ha potuto raggiungere
questo stato originale? Attraverso la facoltà della
consapevolezza, riflettendo con saggezza e vedendo che tutte
le cose sono solo condizioni che sorgono dal mutuo interagire
degli elementi, senza che vi sia nessuno che li controlli.
E così capita anche quando sperimentiamo la gioia
e la sofferenza. Questi stati mentali sono solo "felicità"
e "sofferenza". Non vi è qualcuno che 'ha'
la felicità, la mente non ‘possiede’
la sofferenza; gli stati mentali non ‘appartengono’
alla mente. Osservatelo voi stessi. In effetti, queste sono
cose che non riguardano la mente, sono separate, distinte
da essa. La felicità è solo uno stato di felicità;
la sofferenza è solo uno stato di sofferenza. Voi
siete solo coloro che sanno questo.
In passato, a causa delle
radici dell’avidità, dell’odio e dell’illusione
presenti nella mente, essa avrebbe reagito immediatamente
quando entravate in contatto con qualcosa di piacevole o
spiacevole, e attraverso questa reazione vi sareste 'impadroniti'
di quell’oggetto mentale, sperimentandolo come sofferenza
o gioia. E così potrà avvenire ancora fino
a quando la mente non conoscerà se stessa, fino a
quando non sarà chiara e illuminata. Quando la mente
non è libera, si lascia influenzare da qualsiasi
oggetto mentale le capiti di sperimentare. In altre parole,
non ha un rifugio, è incapace di dipendere veramente
da se stessa. In questa situazione, quando ricevete una
piacevole impressione mentale diventate allegri o diventate
tristi quando l'oggetto mentale è spiacevole. Così
la mente dimentica se stessa.
La mente originale, invece,
è al di là del bene e del male, poiché
questa è la natura originale della mente. E’
un’illusione essere felici per aver sperimentato un
oggetto mentale piacevole. E’ un’illusione essere
tristi per aver sperimentato un oggetto mentale spiacevole.
Gli oggetti mentali sorgono con il mondo, sono il mondo.
Danno l’avvio alla felicità e alla sofferenza,
al bene e al male, e a tutto ciò che è soggetto
all’impermanenza e all’incertezza. Quando vi
separate dalla mente originale, tutto diventa incerto: solo
una catena interminabile di nascita e morte, dubbi e apprensioni,
sofferenza e fatica, senza la possibilità di fermare,
di far cessare tutto ciò. E’ questa la ruota
eterna delle rinascite.
Samadhi significa la
mente fermamente concentrata, e più praticate più
la mente diventa stabile. Più la mente è concentrata,
più essa diventa risoluta nella pratica. Più
contemplate, più diventate fiduciosi e la mente diventerà
così stabile che non potrà più essere
smossa da nulla. Sapete perfettamente che nessun oggetto
mentale la può scuotere. Gli oggetti mentali sono
oggetti mentali; la mente è la mente. La mente sperimenta
stati mentali buoni o cattivi, felicità e sofferenza,
perché viene illusa dagli oggetti mentali. La mente
che non si fa ingannare non può essere turbata da
nulla, poiché nello stato di consapevolezza, vede
tutte le cose come elementi naturali che sorgono e scompaiono:
solo questo! Si può avere questo tipo di esperienza
anche quando non si è riusciti a lasciar andare completamente.
Semplificando, lo stato
che è sorto, è la mente stessa. Se contemplate
seguendo la verità delle cose così come sono,
vi accorgerete che esiste un solo sentiero e che è
vostro dovere seguirlo. Significa che sapete, fin dall'inizio,
che gli stati mentali di felicità e dolore non sono
il sentiero da seguire. E' qualcosa che dovete capire da
soli: è la verità delle cose così come
sono! Siete in grado di capire tutto ciò - siete
consapevoli con la giusta visione delle cose - ma allo stesso
tempo non siete in grado di lasciar andare completamente
i vostri attaccamenti.
Qual è allora
il modo giusto di praticare? State nella via di mezzo, che
vuol dire prendere nota dei vari stati di gioia e dolore,
ma contemporaneamente teneteli a debita distanza sia da
un’esagerazione che dall’altra. Questa è
la via corretta di praticare: mantenere la consapevolezza
anche se non siete in grado di lasciar andare. E’
la via più giusta, poiché, anche se la mente
è aggrappata ai vari stati di gioia o sofferenza,
vi è sempre la consapevolezza di questo attaccamento.
Ciò significa che quando la mente si attacca a stati
di felicità, voi non le date importanza e non ne
gioite e altrettanto non criticate gli stati di sofferenza.
In questo modo potete veramente osservare la mente così
com’è. Quando praticate fino al punto di portare
la mente oltre la gioia e l’infelicità, automaticamente
sorgerà l’equanimità, e voi non dovrete
fare altro che contemplarla come un oggetto mentale e seguirla,
pian pianino. Il cuore sa dove andare per essere oltre le
negatività, e anche se non è ancora pronto
a trascenderle, le mette da parte e continua a praticare.
Quando sorge la felicità
e la mente vi si attacca, prendete proprio questa felicità
come oggetto di contemplazione; lo stesso, se la mente si
attacca all’infelicità, prendete questa infelicità
come oggetto di contemplazione. Finalmente la mente raggiungerà
uno stadio in cui sarà pienamente consapevole sia
della felicità che dell’infelicità.
E questo accadrà quando sarà in grado di mettere
da parte sia la felicità che la sofferenza, sia il
piacere che la tristezza, quando sarà in grado di
mettere da parte il mondo per diventare allora il ‘conoscitore
dei mondi’. Una volta che la mente ‘colei che
conosce’ - può lasciar andare, è qui
che si stabilizzerà ed allora la pratica diventa
veramente interessante.
Ogni volta che vi è
attaccamento nella mente, continuate a battere su quel punto,
senza lasciar andare. Se c’è attaccamento alla
felicità, continuate a meditarvi sopra, senza permettere
che la mente si allontani da quello stato d’animo.
Se la mente si attacca alla sofferenza, afferratevi a ciò,
tenendovi ben stretti e contemplando subito quella disposizione
d’animo. Anche se la mente è intrappolata in
uno stato mentale negativo, riconoscetelo come uno stato
d’animo negativo e la mente non ne sarà più
distratta. E’ come quando si capita in un cespuglio
di rovi; ovviamente non lo fate appositamente, anzi cercate
di evitarlo, ma può capitare che vi troviate a camminare
tra le spine. E come vi sentite allora? Naturalmente provate
avversione. Anche se lo sapete, non potete fare a meno di
essere 'in mezzo alle spine'. La mente continua ancora a
inseguire i vari stati di felicità e sofferenza,
ma non indulge in essi. Il vostro è un continuo sforzo
per eliminare ogni attaccamento dalla mente, per eliminare
e per ripulire la mente da tutto ciò che è
esteriore, mondano.
Alcuni vogliono pacificare
la mente, ma essi stessi non sanno che cos’è
la pace. Non sanno che cos’è una mente tranquilla!
Vi sono due tipi di tranquillità mentale: uno è
la pace che viene per mezzo del samadhi, l’altro è
la pace che viene da pañña. La mente che è
calma per mezzo di samadhi è una mente ancora in
preda all’illusione. La pace che si raggiunge per
mezzo del solo samadhi, dipende dal fatto che la mente è
separata dagli oggetti mentali. Quando non sperimenta alcun
oggetto mentale, allora è calma, e perciò
uno si attacca alla felicità collegata a questa pace.
Tuttavia, quando c’è il contatto con i sensi,
la mente vi si precipita dentro subito, poiché ha
paura degli oggetti mentali. Ha paura della felicità
e della sofferenza; ha paura della lode e della critica,
ha paura delle forme, dei suoni, degli odori e dei gusti.
Chi ha la pace per mezzo di samadhi ha paura di tutto e
non vuole essere coinvolto in niente e con nessuno. La gente
che pratica samadhi in questo modo, vorrebbe isolarsi in
una grotta, dove può sperimentare in pieno la beatitudine
del samadhi, senza mai doverne uscire fuori. Appena trovano
un posto isolato, vi si intrufolano e vi si nascondono.
Questo tipo di samadhi
porta con sé molta sofferenza: per loro è
difficile uscirne fuori e avvicinarsi agli altri. Non vogliono
vedere forme o udire suoni. Non vogliono sperimentare completamente
nulla! Devono vivere in appositi luoghi particolarmente
tranquilli, dove nessuno possa disturbarli con la presenza
o con le parole.
Questo tipo di pace non
è utile allo scopo. Quando avete raggiunto un normale
livello di calma, allontanatevene. Il Buddha non ci ha insegnato
a praticare samadhi nell’illusione. Se vi accorgete
di praticare in questa maniera, smettete subito. Se la mente
ha raggiunto la calma, usate questa calma come base di contemplazione.
Contemplate la pace della concentrazione e usatela per collegare
la mente con i vari oggetti mentali che sperimenta, riflettendoci
poi sopra. Contemplate le tre caratteristiche di aniccam
(impermanenza), dukkham (sofferenza) e anatta (non-sé).
Riflettete e quando avrete contemplato abbastanza, potete
ristabilire senza pericolo la calma del samadhi, sedendo
in meditazione e poi, una volta riottenuta la calma, riprendete
la contemplazione. Man mano che acquistate conoscenza, usatela
per combattere le negatività e allenare la mente.
La pace che viene per
mezzo di pañña è un’altra cosa,
perché quando la mente lascia lo stato di calma,
la presenza di pañña la salva dal timore per
le forme, i suoni, gli odori, i gusti, le sensazioni tattili
e le idee. Vuol dire che ogni volta che c’è
un contatto sensoriale, la mente è subito consapevole
dell’oggetto mentale e lo lascia perdere - la consapevolezza
è abbastanza acuta per poterlo fare immediatamente.
Questa è la pace che arriva per mezzo di pañña.
Quando praticate in questo
modo, la mente diventa molto più raffinata di quando
sviluppavate solo samadhi. La mente diventa potentissima
e non cerca più di scappare. E’ questa energia
che allontana ogni timore. Prima avevate paura di ogni esperienza,
ma ora conoscete gli oggetti mentali per quello che sono
e non ne siete quindi più spaventati. Conoscete la
vostra stessa forza mentale e non ne siete più intimoriti.
Quando vedete una forma, la contemplate; quando udite un
suono, lo contemplate. Diventate abili nella contemplazione
degli oggetti mentali e comunque essi siano, li potete lasciar
andare. Vedete chiaramente la felicità e la lasciate
andare. Qualsiasi cosa vediate, la lasciate subito andare.
In tal modo tutti gli oggetti mentali perdono la loro forza
e non possono più trascinarvi con loro. Quando sorgono
queste caratteristiche nella mente del praticante, si può
cambiare il nome della pratica, chiamandola vipassana, che
significa chiara conoscenza in accordo con la verità.
E’ tutto qui: conoscenza in accordo con la verità
sulle cose così come sono. Questa è pace al
più alto livello, la pace di vipassana.
Il vero scopo della pratica,
quindi, non è sviluppare samadhi, sedendosi in meditazione
e aggrappandosi a quello stato di beatitudine che procura.
Dovete anzi evitare questo stato. Il Buddha ha detto che
dovete combattere apertamente la vostra battaglia, non nascondervi
in una trincea cercando di evitare le pallottole del nemico.
Quando è il momento di lottare, dovete saltar fuori
con le armi in pugno, dovete per forza uscire dal nascondiglio.
Non potete più stare lì a poltrire quando
è tempo di battaglia. Questa è la pratica.
Non dovete permettere che la mente si nasconda, acquattandosi
nell’ombra.
Ho spiegato la pratica
a grandi linee, affinché non abbiate ad impantanarvi
nel dubbio, affinché non vi siano esitazioni sul
modo di praticare. Quando c’è la felicità,
osservate quella felicità; quando c’è
la sofferenza, osservate quella sofferenza. E così
stabilizzati nella consapevolezza, provate a lasciarle andare
entrambe, a metterle da parte. Ora che le avete osservate
e quindi le conoscete, continuate a lasciarle andare. Non
è importante che meditiate seduti o camminando, se
continuate a pensare non fa niente. La cosa importante è
essere sempre e continuamente consapevoli della propria
mente. Se vi trovate invischiati in troppe proliferazioni
mentali, raccoglietele tutte insieme, e contemplatele come
se fossero un tutt’uno. Ne taglierete l’energia
alla radice dicendo: "Tutti questi pensieri, queste
idee e immaginazioni sono semplicemente delle proliferazioni
mentali e basta. Tutto ciò è aniccam, dukkham
e anatta. In nessuno di loro risiede la certezza".
E poi lasciatele subito perdere.
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